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le lagrime, che Mesrur si allontanasse, nè si esponesse inutilmente alla vendetta del marito. Le coprì egli le mani di baci, bagnandole di pianto, e quando fu forza staccarsi dalla lettiga, cadde privo di sensi.

«Allorchè tornò in sè, più non vedendo la caravana, e notando che il vento veniva dal lato verso il quale dirigeva i passi, sclamò:

«Vieni, o notte! vieni a rinfrescarmi le guance ardenti, vieni a calmare le fiamme che m’ardono il cuore.

«È partita, ma il mio cuore sta con lei; sia fitto al pungolo che sollecita la marcia dei camelli.

«O zefiro! e tu, il cui soffio è imbalsamato dall’alito suo, non ti ha essa nulla ordinato per asciugare le mie lagrime e rianimarmi il corpo gelato per la di lei assenza?»

«Giunta al termine del viaggio, Zein-al-Mevassif scrisse a Mesrur per consolarlo ed assicurarlo d’eterno amore, e confidò la lettera ad una schiava che gliene riportò la risposta. Ma avendo il marito scoperto quella corrispondenza, pensò che bisognava allontanare ancor più la donna. Il luogo nel quale aveva dapprima destinato di stabilirsi non era distante da quello in cui trovavasi il rivale se non di dieci sole giornate; procedè adunque venti giornate più innanzi, di modo che i due amanti furono divisi dalla distanza d’un mese di cammino.

«Per tutto quel tempo, Mesrur non aveva riposo nè giorno, nè notte. Apparivagli la sua diletta in sogno, ed egli era beato con lei; ma allo svegliarsi, si dissipava l’illusione, ed ei ripeteva questi versi:

«Salute, immagine adorata, che mi apparisci in mezzo all’ombre notturne, e vieni calmare la violenza dell’amor mio!

«Mi desto piangente, e la dolce illusione svanisce.

«Ah! vera felicità sono i sogni pegli amanti infelici: chè calmano le pene dall’amore.

«Ella mi parla, mi sorride, mi fa mille tenere carezze; involo un bacio dalla sua bocca.

Sollevavami essa co’ suoi favori al colmo della felicità, e mi sveglio nelle lagrime!»