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che uscì per andar a prendere denaro. Al ritorno,» pregò la bella di dargli la rivincita, e non restandogli più nulla, giuocò la bottega, la casa, il giardino, gli schiavi, in una parola, quanto possedeva.

«— Mesrur,» disse allora Zein-al-Mevassaif «non voglio che abbiate a pentirvi di aver fatta la mia conoscenza; vi restituisco tutto quello che avete perduto. — Non ne ho alcun dispiacere,» rispos’egli. «O sovrana dell’anima mia! quand’anco mi chiedeste la vita, mi stimerei felice di sagrificarla per voi. — Andate,» rispose Zein-al-Mevassif, «e conducete il cadi per compilare una donazione in forma dei beni che vi restituisco.» Andò il giovane a prendere un cadi. Appena ebbe questi veduto le belle dita di Zein-al-Mevassif, poco mancò non gli cadesse di mano la penna; ma infine terminò l'atto di donazione, ed i due testimoni vi apposero il loro sigillo.

«— Ora potete andarvene; » disse Zein-al-Mevassif al mercadante. Allora quegli improvvisò una lunga serie di versi, che non era in sostanza se non un racconto rimato della sua avventura. — Lasciate stare la rima,» gli disse la dama, «ed abbiate un po’ più dell’intelligenza prosaica degli uomini. Vi siete rovinato agli scacchi; ora tornate a casa. — Un’altra sola partita!» sclamò Mesrur. — Con che cosa pagherete, se perdete? — Ho amici, che mi presteranno denaro. — Sappiate,» rispose la dama, «che io non acconsento a giocare questa partita se non per una grossa somma: non voglio giuocare con voi meno di quattro scatole di muschio, quattro libbre d’ambra, quattrocento zecchini, e quattrocento pezze di stoffe preziose. Portatemi tutte queste cose, ed allora, faremo una nuova partita di scacchi. —

«Mesrur uscì per andar a prendere tutto ciò che essa gli domandava, e Zein-al-Mevassif, dubitando che potesse trovarlo in prestito, comandò ad una schia-