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mia povertà; il luogotenente di polizia mi farà dare le bastonate per isforzarmi a confessare che posseggo un tesoro. Possono dunque le ricchezze produrre simili imbarazzi? Farei bene ad avvezzar alle busse la mia pelle; benchè, grazie a Dio, essa sia passabilmente indurata. » Alzossi in tale pensiero, e preso un bastone, si mise a battersi da sè medesimo a più non posso, ed a gridare nello stesso tempo come se fosse nelle mani del carnefice: — Aimè! non ho nulla, monsignore, sono infami calunnie; non posseggo un danaro: è una menzogna che inventarono i miei nimici per rovinarmi.» I vicini, svegliati da quelle grida e dal rumore, immaginarono che nella sua casa vi fossero i ladri, ed accorsi, trovarono il pescatore che si batteva da sè. — Che fai dunque, Califfo?» gli domandarono. Li mise egli a parte de’ suoi i timori e delle sue inquietudini, e della necessità in cui trovavasi di abituarsi alle percosse. I vicini si misero a ridere, e si ritirarono.

«Alla mattina, nuovi pensieri e nuovo imbarazzo. Califfo non sapeva dove rinchiudere il suo danaro. — Se lo lascio in casa,» diceva, «potranno rubarmelo; la cosa più sicura è di cucirlo in un sacco e portarlo con me.» Recossi poi colle reti sulla sponda del Tigri, ma non avendo preso nulla, cercava un sito più favorevole, ed avanzava sempre senza essere più fortunato. — Ora per l’ultima volta,» diss’egli, riunendo tutte le sue forze per gettare le reti; ma il moto che si diede, fe’ aprire il sacco dove stava chiuso il suo oro, che cadde nel fiume. Nella sua disperazione, si lacera le vesti e si precipita nell’onde per trovare il suo oro; si tuffò più di cento volte ma indarno. Disperato, tornò a riva, e più non trovò che il bastone, il cesto e le reti; le vesti erano scomparse. Che cosa fare? Prese il bastone in mano, gettossi in ispalla le reti e la sporta, e si mise a cam-