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ora riposiamo, domani farai ciò che ti converrà,» disse Zahide con fierezza; «io non ti temo. —
«Mouna dolente di tale costanza nel disprezzo, ed afflitta da quelle ultime parole che offendevano vie più il suo amor proprio, si decise ad obbedirle, malgrado la rabbia ed il dispetto che risentiva nel cuore, e si ritirò in un canto, agitata da mille pensieri diversi. Zahide non lo era meno; ma la fatica ed il bisogno, che si fanno agevolmente sentire in un cuore scevro di passioni, la immerse in profondo sonno.
«Mouna, la quale non poteva dormire, riguardò il sonno di Zabide come un nuovo insulto, e poco mancò non la immolasse al suo risentimento, risoluta pur di non sopravviverle. Venti volte ne concepì il pensiero, venti volte guardò il pugnale: ma vedendo infine comparire il giorno, volle rimirar ancora a sazietà l’oggetto da cui doveva essere divisa per sempre.»
A questo punto interessante del racconto, Scheherazade fu costretta d’interrompere il discorso: il giorno compariva, ed i suoi primi raggi avvertirono il sultano che bisognava recarsi a presiedere il consiglio. La notte seguente, Scheherazade, con grande letizia del consorte, riprese il racconto in questi termini:
NOTTE DLXI
— Mouna si alzò per avvicinarsi a Zabide, contemplolla con ebbrezza, volle ancora darle un bacio e guardò con cura se trovasse qualche cosa da serbare per sua memoria. Infine, nel disordine del