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tico amico. Poco tempo dopo che Gharib era stato mandato nella valle del Fuoco, Silsal aveva preso le redini dell’impero, e per molto tempo lo stimò morto; ma da pochi giorni avendolo veduto in sogno circondato dalle guardie della vecchia fata, ciò avevagli ispirato l’idea di venirgli in soccorso. Gli attestò Gharib la sua gratitudine, quindi si divisero i tesori della fata, e tornarono all’isola di Canfora ed al palazzo di Cristallo. Dopo alcuni giorni di riposo, Gharib pregò l’amico Silsal di ricondurlo nella città d’Isfahan, ed acconsentitovi il genio, vi giunsero verso la metà della notte, e posarono sul tetto del palazzo reale. Or siccome faceva un bel chiaro di luna, Gharib si avvide che la città era assediata da numeroso esercito. — Che è mai questo, fratello?» chiese a Silsal. — Non saprei dirvi,» rispose il genio, «informatevene nel vostro palazzo.» Discese il giovane pel tetto nel serraglio, e produsse grande spavento nelle donne, che con difficoltà lo riconobbero; ma scomparso infine ogni dubbio, inesprimibile fu la loro gioia, e gli raccontarono che l’esercito assediante, forte almeno di centocinquantamila uomini, era comandato dal re Moradsciah, ignorando però d’onde fosse venuto e quale idea avesse. Noi lo paleseremo in poche parole a’ nostri lettori.
«Ognun si ricorderà che Scebur aveva comandato di far perire nell’acque sua figlia, e che questo barbaro ordine non era stato eseguito. Errando sulle montagne e nelle valli, la principessa giunse in fine ad un palazzo magnifico, ove entrata, vide cento schiave di maravigliosa bellezza che la presero per una loro compagna; la principessa si accorse dell’equivoco, e narrò ad esse la sua storia. Anche le schiave raccontarono che quel palazzo apparteneva al re Saisal, figliuolo di Dal, uno de’ più potenti re dei geni, che veniva ogni mese a passarvi alcuni giorni. Di-