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una voragine di fuoco sempre ardente, circondata da monti scoscesi e sterili; siccome un tal luogo giaceva assai lontano dal palazzo, e Gharib facevasi a bella posta pesante, il genio presto stancossi, e per riposare alquanto, calò a terra, dove sedotto dall’ombra degli alberi e dal grato mormorio de' ruscelli, si lasciò vincere dal sonno. Il nostro eroe, approfittando dell’occasione, ruppe le sue catene, ed uccise il genio con un sasso enorme che gli lasciò cadere sul capo. Notando però che il sito nel quale trovava era un’isola, smarrì ogni speranza di poterne uscire; ma si rassegnò al suo destino, e colà visse sette anni nutrendosi di pesce e frutti.

«Un giorno, calarono nell'isola due geni, che attraversavano aria; Gharib aveva i capelli e l’unghie sì lunghe, e sì selvaggio aspetto, che lo presero anch’esso per un genio; ma fattosi riconoscere, si mise a narrare la sua storia. — Torneremo a liberarvi,» gli dissero quelli, «appena avremo condotto al nostro padrone, due uomini che cerchiamo, e de' quali vuol mangiare uno a pranzo e l’altro a cena. — Dio è grande!» sclamò Gharib, ed i due geni allontanaronsi.

«Due giorni dopo, uno di essi tornò, e presolo sul dorso, lo portò tant’alto nell’aria che poteva udir cantare gli angeli. Strada facendo, videro una freccia accesa che veniva loro incontro. Il genio, per evitarla, volò alquanto più basso, ma avendolo quella colto, lo ridusse in cenere, e Gharib cadde in mare. Nuotò per tre giorni interi, e già cominciavano ad abbandonarlo le forze, allorchè approdò appiè d’un monte alto e scosceso. Mangiate erbe e radici che gli restituirono alquanto vigore, si pose in via e camminò per due giorni interi sinchè giunse ad una città; ma, alle porte, le guardie impadronironsi di lui per condurlo dinanzi alla loro regina, della stirpe dei geni