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cadde in ruina, ed è rimasta ancora a’ nostri giorni deserta e disabitata.

«Frattanto Gharib era in cammino verso il paese dei geni, il genio che lo portava chiamavasi Silsal, figlio di Mosalsal, re delle isole di Canfora e del palazzo di Cristallo. Adorava questo principe un vitello d’oro vestito di ricca stoffa, e carico di gran numero di ornamenti bizzarri. Satana stava in persona nell’interno di quell’idolo, e vi rendeva i suoi oracoli. Un giorno, il re Mosalsal essendo venuto nel tempio per farvi la sua preghiera, il vitello gli disse: — Tuo figlio è un apostata, che abbracciò la religione di Abramo, nella quale venne istruito da Gharib, re dell’Irak.» Adunò Mosalsal i suoi consiglieri per conferire secoloro intorno a quella strana nuova, e tutti rimasero colpiti da maraviglia. — Se mio figlio verrà qui,» disse il re a’ suoi ministri, «quando lo vedrete avvicinarsi per abbracciarmi, gettatevi su di lui. — Signore, sarà fatto il voler tuo,» rispose ad una voce il consiglio, e ciascuno si ritirò.

«Due giorni dopo giunse il genio Silsal con Gharib o l’idolo di Kargi. Conforme agli ordini reali, lo presero, e condottoglielo dinanzi, il re gli disse: — Insensato, tu che non sei più degno del nome di mio figlio, avesti l’ardire di rinunciare alla religione de’ tuoi avi? — Abbracciai la religione della verità,» rispose Silsal, «e guai a voi se non imitate il mio esempio!» Furibondo il re, comandò di gettarlo in un carcere; poi, voltosi al mortale: — E tu, ribaldo, hai dunque traviato il cuore di mio figlio, immergendolo nell’errore? — Io lo ricondussi dall’errore alla verità,» rispose Gharib, «dall’idolatria alla vera fede, dai tormenti dell’inferno alle beatitudini del paradiso. — Portatelo,» gridò Mosalsal ad un genio, e portatelo nella valle del Fuoco, e là trovi la morte!» Era questa valle