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bronzo non avevano mai mandato un frastuono sì violento come quello che rimbombò per tutta la città allorchè entrovvi Gharib.

«Il grand’idolo, che altro non era se non lo stesso Satana, vomitò per la bocca e le orecchie fiamme e fumo, ed avverti ch’era d’uopo uccidere sul momento lo straniero, il quale aspirava a mutar la religione. Comandò dunque il re di legare il forastiero nella corte del tempio ed alzarvi un rogo par ardervelo la mattina appresso.

«Al levar del sole più non si trovò il prigione, e quando il re volle interrogare la sua divinità per saper notizie della vittima, anche l’idolo era scomparso; del che divenuto furioso, se la prese col visir, il quale non potendogli dare dilucidazione veruna, egli con una sciabolata gli mozzò la testa.

«Del tutto maravigliosa era la scomparsa di Gharib. Faceva egli la sua preghiera vespertina nel luogo stesso dov’era stato legato, quando il demonio, che aveva in custodia l’idolo, colto da terrore nell’udire il nome di Dio creatore di tutte le cose, del Dio che vede tutto e niuno vede, intavolò col giovane un dialogo, nel quale questi gli fece conoscere la vera religione, a cui egli si convertì; talchè spezzate le catene del prigioniero, si sollevò nell’aria, portandolo seco insieme all’idolo. Ecco quanto a Gharib; ora diremo del re de’ Kargi.

«Allorchè quel principe ebbe ucciso il visir, una parte del popolo cominciò a mormorare contro l’idolo che non poteva proteggere i suoi adoratori; altri ne presero la difesa; ne sorse un alterco, si diè di piglio all'armi, e così nacque una guerra civile, nella quale le due parti si assalirono con cieco furore e si distrussero a vicenda, sicchè in breve più non restò un sol uomo in istato di portare le armi. Le donne ed i fanciulli abbandonarono la città, la quale d’indi in poi