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nell’onde.«E tale risoluzione,» aggiunse Rustem, «è stata, come non ne dubito, compiuta il giorno che ha preceduto la mia partenza. —
«A tal nuova oscuraronsi gli occhi a Gharib. — Per Dio e per Abramo suo diletto, ne trarrò vendetta! Quante truppe hai teco, Rustem? — Centomila uomini,» rispose; «ma in tanto numero ve n’hanno appena diecimila sulla fedeltà de’ quali e sul cui attaccamento io possa calcolare. — Ebbene! procurate di disfarvi del resto con quei diecimila uomini.» Rustem s’incaricò dell’impresa, e coll’astuzia venne a capo di disarmare, disperdere ed uccidere tutti i ribelli.
«Gharib si unì alle truppe fedeli, e marciarono verso la capitale della Persia, dove il rumore della disfatta dell’esercito era già giorno insieme alla notizia della defezione di Rustem. Scebur gettò la corona per terra, allorchè udì la condotta del generale, e che quest’erasi fatto musulmano. Volto quindi al figlio Virdsciah: — Tu solo, figliuol mio,» gli disse, «puoi rimediare al terribile disastro, conducendomi Gharib ed il traditore.» Passò il principe in rassegna l’esercito forte di circa centoventimila uomini, e la partenza fu stabilita alla domane.
«Nel medesimo punto si vide un immenso nembo di polvere; erano le schiere di Gharib che prendevano posto sulle alture d’Isfahan, e disponeansi in battaglia. Avendo le trombe ed i cimbali dato il segnale, impegnossi da ambe te parti la zuffa con pari animosità, ed il sole sparve dall’orizzonte prima che la vittoria fosse decisa. La domane mattina, avanzossi Rustem tra i due eserciti, e sfidò i bravi delle soldatesche persiane. Uno di essi, chiamato Toman, accettò la sfida, ma presto soccombette sotto la ferrea clava dell’avversario. Per vendicarne la morte, Scebur comandò un attacco generale, ed allora le