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uomini d’infanteria, armati di picche e balestre, li collocò alla testa delle file, e colà, ad un convenuto segnale, fecero piovere sugli elefanti una grandine di frecce. Furiosi quegli animali, inoltraronsi per calpestare i soldati: il disordine e la confusione si sparsero nell’esercito indiano, ed i credenti dando nel medesimo tempo un assalto generale, gl’idolatri n’ebbero una sconfitta totale; il campo e tutte le ricchezze loro caddero in potere dei primi. Gharib, fatto condurre in sua presenza il fratello, gli disse: — Cane, hai dunque nuovamente cercato di armare i re contro di me? ma vedi che il cielo mi concede mai sempre la vittoria. Convertiti ed abbraccia l’islamismo: non solo ti perdonerò l’assassinio de’ miei genitori, ma ti ristabilirò sul trono.» Avendo Agib risposto di non voler mai rinunziare alla sua fede, Gharib comandò che fosse ricondotto al carcere; e quindi, volto al principe delle Indie: — E voi,» gli disse, «volete farvi musulmano? — Certo,» rispose, «poichè se la vostra religione non fosse la vera, non mi avreste vinto; laonde riconosco non esservi altro Dio che Dio, e che Abramo è il diletto di Dio.» Immenso fu il giubilo di Gharib. — Ora tornate ne’ vostri stati,» disse al principe, «e regnate in pace come prima. — Non l’oso,» rispose l'altro, « poichè mio padre mi ucciderebbe, per punirmi di aver abiurata la mia religione. — Non temete nulla,» riprese Gharib, «voglio accompagnarvi io medesimo col mio esercito, ed a dispetto del fuoco e della luce vi farò proclamar re.» Pieno di gratitudine per tanta bontà, il principe gli baciò mani e piedi. — Fedeli geni,» disse poscia Gharib volgendosi ai due maredi, «trasportateci alle Indie, il principe, Gemerkan, il gigante della montagna e me. Voleva sulle prime marciare verso quel paese con tutto l’esercito: ma riflettendovi, trovo che noi quattro vagliamo quant’esso. —