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nella sua tenda, sedè sul trono, e disse a quelli venuti a congratularsi del suo felice ritorno: — Pel sole e la luce! io non aveva ancora incontrato un sì bravo cavaliere; ma domani voglio assolutamente farlo prigione. —
«La domane mattina adunque, Gharib si presentò pel primo sul campo di battaglia, e: — Chi oserà misurarsi meco?» gridò. Ed ecco il principe delle Indie salito sur un elefante mostruoso, le cui guide stavangli sedute tra le orecchie, e lo faceano camminare coi pungoli. Il cavallo di Gharib, non avendo mai veduti elefanti, fu colto da spavento, e lo costrinse a smontare. Il principe indiano, vedendo il nimico in tale condizione, diè mano al suo rahak, cui era destrissimo a maneggiare, e ch’è una specie di rete della quale servonsi gl’Indiani nelle pugne, e con cui avvolgono cavallo e cavaliere. Lo gettò il principe su Gharib, e già cominciava a tirarlo verso l’elefante; ma appena i due fedeli geni, Koheilan e Kordian, che non cessavano dal tenere un occhio vigile su Gharib, lo videro avvolto nelle reti dell’avversario, pigliarono il principe, e rovesciatolo a terra, lo avvinsero strettamente. Allora la zuffa divenne generale: la polvere, le grida, il cozzo dell’armi salivano al cielo, ed il sangue scorse sino al tramonto. Molta fu la perdita dei credenti in tale giornata, sopra tutto per le stragi degli elefanti, de’ quali componeasi la cavalleria indiana. In un consiglio di guerra, tenuto da Gharib durante la notte, si raccolsero le voci sul miglior mezzo di distruggere quegli animali, ed i due maredi si offerirono di ucciderli a sciabolate; ma un uomo di Omman, uno dei più fedeli consiglieri del re, chiese di essere incaricato dell’impresa. Il giovane, che aveva in lui la massima fiducia, comandò a tutto l’esercito di obbedirgli, e l’aiutante di Omman, scelti diecimila