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treste saccheggiare gli stati del vostro nemico. — Siete troppo generoso»» riprese Gharib, «e sento la più viva gratitudine, ma non credo d’aver bisogno dell'aiuto dei geni. —

«Fecero i due maredi in due giorni una strada di cinque anni, e per riposare discesero nella capitale di Omman, dove Gharib mandò uno de’ maredi alla scoperta; il genio gli riferì che tutto il paese era inondato da infedeli, e nell’istante medesimo si dava una battaglia sanguinosa. — Orsù, all’armi!» sclamò Gharib, balzando in sella e sguainando la sciabola di Yafet figlio di Noè. Voleano i due maredi accompagnarlo per battersi ai suoi fianchi, ma ei dichiarò loro, in nome di Dio e d’Abramo, di voler combattere da solo, e solo riportare l’onore della giornata.

«Per conoscere quali nemici combatteva allora Gharib, bisogna sapere che Agib, non osando tornar più da Yareb dopo la perdita del di lui esercito nel paese di Omman, erasi ridotto nell’India per implorar il soccorso del re Tartekan, fanatico adoratore del fuoco, che giurò di sterminare tutti coloro i quali non professassero la sua religione. Mandò questi il figlio con cinquantamila cavalieri, altrettanti pedoni e centomila elefanti, ciascuno dei quali portava una torre di legno d’aloè e di sandalo, coperta di piastre d’oro e d’argento. Quest’era l’esercito che assediava le truppe di Gemerkan e del gigante della montagna rimasti alla custodia della città di Omman.

«Aveva un eroe dell’esercito indiano, chiamato Batascial Akran, nipote di Tartekan, disfidato a singolar tenzone il gigante della montagna e fattolo prigioniero. Gemerkan avendo voluto vendicare il fratello d’armi, provò la medesima sorte, al pari di quaranta altri tra’ più bravi cavalieri. Fu appunto allora che Gharib sopraggiunse tanto a proposito, e precipitandosi nel campo di battaglia gridava: — Dio