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Tutta gremita di teste era la terra, e settantamila infedeli morsero prima di notte la polve. Allora le trombe suonarono la ritirata, ed il cimento non costò ai credenti se non diecimila guerrieri circa. Molto pentivasi Berkan d’avere intrapresa quella guerra. — Se dura altri tre giorni,» diceva, «siamo perduti. Non ci resta altro partito se non di dare un assalto notturno, e togliere i nemici dalle braccia del sonno per ispingerli in quelle della morte.» Tale sentimento fu adottato; ma un genio, chiamato Gindel, che esteriormente professava la religione degl’idolatri, benchè in fondo al cuore fosse musulmano, affrettossi d’andar a recarne la notizia a Merasce e Gharib. — Qual partito prendere?» chiese il re dei geni al re dell’Irak. — Ciò che v’ha di meglio, secondo il mio parere,» rispose questi, è di far uscire le nostre truppe, e spingerle sull’istante nelle gole vicine fin che i nemici abbiano lasciato il campo. Allora piomberemmo loro addosso da tutte le parti, e li stermineremo intieramente coll’aiuto di Dio! —

«Quell’astuzia di guerra fu coronata dal più felice esito. Appena gl’infedeli furono padroni del campo, i musulmani attaccarono, gridando: — O Dio misericordioso! Dio onnipossente, creatore di tutte le cose!»

L’aurora sorse testimone della vittoria de’ credenti. Salvatosi Berkan, venne a cercar rifugio, con parte del suo seguito, nella città di Onice, dove convocò in fretta un consiglio di guerra. — Amici,» disse, «il nemico c’insegue: altra via di scampo non ci resta se non di ritirarci dietro la montagna di Kaf, ed implorarvi il soccorso del re Azzurro, sovrano del castello Bianco; egli solo può vendicarci. » Partirono infatti, conducendo le donne ed i fanciulli. Merasce e Gharib trovarono aperte le porte della città e le case vote, e recaronsi al palazzo del re che posava su fondamenti di fino smeraldo; d’onice erano le porte coi cardini d’ar-