restato il suo padrone, accorse a spargere l’allarme nella città. — All’armi, fratello,» disse Gharib a Sehmalleil, «per liberare Merasce; montiamo a cavallo, — Come!» riprese Sehmalleil; «vuoi combattere coi geni? — Sì, certo,» rispose l’altro, «colla sciabola di Yafet ed in nome d’Abramo, amico di Dio.» Schieraronsi i due eserciti in battaglia. Il primo ad aprire il combattimento, fu Gharib, che spinse il cavallo in mezzo alle file contrarie; la sua sciabola, che brillava d’uno splendore soprannaturale, abbagliò gli occhi ai nemici e ne turbò la ragione. Quindi gridò: — Dio è grande! io sono Gharib, re dell’Irak: non v’ha altra vera religione che quella di Abramo, il diletto di Dio! — Oh!» sdamò Berkan, «ecco l’insensato che traviò mio nipote; giuro di non sedere sul mio trono se prima non abbia veduto rotolare a’ miei piedi la testa di colui.» Salito sur un elefante bianco che conduceva alla pugna con isproni di ferro: — Cane,» gridò, volgendosi a Gharib, «sei tu che rendesti mio nipote spergiuro alla religione de’ suoi padri; or sappi che l’ultima tua ora è giunta.» Sì dicendo, alzò la terribile arme per atterrarlo d’un sol colpo; ma il giovane schivollo felicemente, e per vendicarsi, trapassò col primo fendente da parte a parte l’elefante; l’animale cadde, trascinando nella sua caduta Berkan, che fu sul momento avvinto di catene da’ geni dell’esercito di Merasce. Vedendo il loro re prigione, le milizie di Berkan diedero un assalto generale per liberarlo; ma Gharib ricorse alla sciabola incantata. I geni fedeli accorsero in suo aiuto, e cangiandosi in vortici di fuoco, riempirono l’aria di fiamme e di fumo. L’eroe penetrò nella tenda di Berkan, in cui Merasce era prigioniero. — Sciogliete il vostro padrone,» gridò ai geni fedeli Koheilan e Kordian.» sciolsero quelli, e Merasce comandò gli si conducessero due cavalli alati: ne prese uno, Gharib slan-