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cimballi. Era un esercito di settanlamila geni, sotto la forma di uccelli, e condotto dal re Berkan. Ora bisogna sapore che cosa conducesse colà codesto! Berkan.

«Era costui un re potente, sovrano della città d’Onice e del paese d’Oro; regnava su cinquecentomila maredi: zio di Merasce, era fanatico adoratore del fuoco. Un maredo apostata, abbandonate per una picola promozione le truppe del nipote, era venuto ad annunziargli che questi aveva cambiato di religione. A tal nuova, Berkan si abbandonò a tutti i furori del fanatismo. — Pel fuoco!» sclamò, «bisogna che uccida quel reprobo, ed annienti i perfidi suoi sudditi!» E radunati sessantamila geni, marciò con essi, come si disse, sopra la città di Yafet.

«Merasce, non volendo trascurare i contrassegni consueti di rispetto, mandò un maredo per chiedergli la cagione della sua venuta. Condotto davanti al re, il genio prosternossi ed adempì al suo messaggio. — Di’ al tuo padrone,» rispose Berkan, «ch’io non sono qui venuto se non per farmi musulmano. — «Era un’astuzia per impossessarsi del nipote, senza ferir colpo, avendo dato l’ordine alle guardie di prenderlo nel momento in cui si abbraccerebbero. Venne dunque Merasce senza sospetto, ma vedendosi assalito, gridò: — Cosa significa questa condotta? — Come, cane!» gli disse lo zio; «abiuri la credenza de’ tuoi padri per abbracciare una religione che non conosci? — Siete in errore; ho abbracciato la religione d’Abramo, che è la sola vera; tutte le altre sono false. — Chi te lo disse? — Un re dell’Irak, pel quale ho la maggior venerazione. — Pel fuoco e per la luce, «sclamò Berkan, «v’immolerò amendue in una volta! —

«Per fortuna, uno schiavo di Merasce, trovato il mezzo di fuggire nel momento stesso in cui erasi ar-