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aveva tosta di scimia e l’altro di cane, ambedue ugne di leone e crini di cavallo invece di capelli.
«Quanto al motivo di quello strano rapimento, bisogna sapere che un re de’ geni aveva un figlio per nome Saik, perdutamente invaghito d’una fata nominata Nedim o Stella. Era precisamente in quella valle che si trovavano, facendo all’amore sotto forma di due uccelli. Alcuni viandanti, lungi dall’accorgersi che fossero geni, e presoli per canarini, lor tirarono qualche freccia, di modo che Saik, sfinito per la perdita del sangue, potè appena tornare al palazzo del padre, il quale, tostochè lo vide ferito, sclamò: — Chi ti ha trattato in tal modo, o figlio? voglio vendicarti; fosse pure il gran re de’ geni in persona, la mia vendetta nol risparmierà! — Ah padre!» rispose il misero, «sono uomini che mi han dato la morte!» Proferendo tali parole, spirò.
«Il vecchio genio, abbandonatosi allora alla più violenta disperazione, e chiamati i due maredi, comandò loro di condurgli gli uomini che trovassero alla sorgente della valle, e siccome non vi videro che Gharib e Sehmalleil, se ne impadronirono. Vennero dunque a deporli a’ piedi di Merasce, ch’era alto come un monte, ed aveva quattro teste, una di leone, l’altra d’elefante, la terza di tigre e l’ultima di lupo. Al vedere i due viaggiatori, montò in tremenda furia; uscivangli scintille dalle nari, e gli occhi somigliavano a carboni accesi — Cani di mortali!» disse loro; «perchè assassinaste l’unico mio figliuolo? — Siete in errore, sire, » rispose Gharib; «è una falsità; chi pretende essere stato testimonio di quest’assassinio? — Non sei tu, » riprese Merasco, «che vedesti mio figlio sotto la forma d’uccello nella valle delle Fontane? Senza che ti avesse fatta la più lieve offesa, non l’hai tu colpito con