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do gli occhi. — Ti trovi, » rispose Sehmalleil, «in presenza di sua maestà il re dell’Irak, figlio di Kendemar. — Perdonatemi, » soggiunse il prigioniero, «sono innocente! fu vostro fratello che mi trascinò a questa funesta guerra!» Gharib non volle rendergli la libertà e lo trattenne prigione.
«Intanto Gemerkan aveva adunati i generali. — Bisogna, » disse loro, «segnalarci questa notte con un bel colpo, che ci meriti il favore di Gharib. Pigliate l’armi, e marciando tacitamente, introducetevi durante la notte nel campo degl’infedeli. Allorchè mi sentirete gridare: Allah Akbar! rispondete col medesimo grido, percuotendo gli scudi colle sciabole; allora, approfittando del turbamento e della confusione dei nemici, c’impadroniremo delle porte della città. — «Felicissimo esito ebbe tale astuzia di guerra. Gl’infedeli, svegliati a quel rumore, credettero che il nemico fosse già nel campo; talchè, lasciati i posti situati all’ingresso della città per far una sortita, mentre sgozzavansi gli uni cogli altri, Gemerkan si rese padrone della porta.
«Appena giorno, Gharib, dal suo canto, attaccò i nemici. Questi, non essendo in grado di sostenerne l’assalto, cercarono di tornare in città per la porta della quale si era impadronito Gemerkan; ma trovandola occupata, parte degl’infedeli cadde sul campo di battaglia, e gli altri si dispersero per la campagna. Divenuto padrone della città, Gharib si recò al palazzo di Geland, e seduto sul di lui trono, se ne fece recare tutti i tesori. Comandò poi d’impiccarlo sulla porta, e se gli piantarono nel corpo tal moltitudine di frecce, che somigliava ad un istrice. Elesse Gemerkan governatore della città, e fatto aprire il tesoro, ne distribuì per dieci interi giorni le ricchezze ai soldati, alle donne ed ai fanciulli.
«Una notte, Gharih era coricato, secondo il solito,