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non osarono accostarsi. «Son io, » aggiunse, «che uccisi il figlio di Geland! Chi avrà il coraggio di vendicare Korgian? —

«Geland potè a stento frenare la rabbia, allorchè intese essere colui l’uccisore del figlio. — Conducetemi, » disse a’ suoi cavalieri, «conducetemi l’assassino di mio figlio; che ne laceri la carne coi denti! che ne beva il sangue nel suo cranio!» A quei detti, cento cavalieri slanciamosi in una volta, e tutti perirono sotto i colpi di Gemerkan. Allora Geland comandò l’assalto, ed il combattimento si fece dalle due parti generale.

«Si spinsero i due eserciti l’un contro l’altro come due mari in furore. Le sciabole faceano maraviglie e le lance adempivano al loro dovere: il re della morte teneva sospesa la bilancia sul capo de’ combattenti; le orecchie n’erano assordate, oscurati gli occhi, le lingue immobili; durò la pugna in tal guisa sino al tramonto. L’incertezza di Gharib sul nuovo rifugio del fratello, lo tormentava assai, e Sehmalleil si propose di penetrare la sera nel campo nemico, onde procurarsi qualche schiarimento. Travestito da soldato, attraversò felicemente i posti degli avversari immersi in profondo sonno sì necessario per rimettersi dalle fatiche, e penetrato sin nella tenda del re, che trovò addormentato, Sehmalleil gli soffiò nelle nari del nepente in polvere, talchè la droga soporifera ebbe in breve prodotto il suo effetto. Allora, l’intrepido giovane avvolse il re in un lenzuolo, e legatolo entro una specie di stuoia, lo caricò sulla sua mula, e felicemente tornò al campo de’ credenti, che gli avrebbero negato l’ingresso come ad uno sconosciuto, se non si fosse fatto riconoscere recitando la sua professione di fede. Annunziò egli a Gharib la fatta cattura, e slegato il prigioniero, gli fe’ recere il nepente dandogli a respirare aceto e certa radice in polvere. — Dove sono?» sclamò Geland, apren-