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schierava in battaglia i suoi dugentomila uomini. In breve incrociaronsi le scimitarre e le lance si tinsero di sangue; il primo che aprì le porte sanguinose del combattimento fu il gigante della montagna. — Accendete il fuoco!» gridò a’ suoi figliuoli; e quelli, acceso un gran fuoco, vi arrostirono per la colazione del padre il primo cavaliere che avevalo attaccato, gl’infedeli a tal vista giurando, pel sole brillante, che il gigante aveva maraviglioso appetito. Trenta de’ migliori loro cavalieri subirono la medesima sorte; in fine, più non restava alcun valoroso che osasse seco lui misurarsi. Cento guerrieri piombarono tutti in una volta su di lui, ma ei li fracassò come poponi, restandone settantaquattro sul campo; e salvandosi gli altri con grave difficoltà. Allora si comandò un assalto generale: centomila soldati precipitaronsi insieme sul gigante, ne atterrarono il cavallo, e soccombendo egli medesimo al numero, fu carico di catene. I credenti fecero inutili sforzi per liberarlo. Lo si notava appena in mezzo alla moltitudine de’ nemici come un capello bianco in una chioma nera. Intanto i colpi suocedevansi colla rapidità del lampo, e la notte sola giunse a separare i combattenti.
«Gemerkan, al par di tutti i suoi, era vivamente afflitto la perdita del gigante della montagna, sì che nel loro dolore non poterono mangiare, nè trovar sonno, benchè egli facesse ogni sforzo per consolarli. — Domattina, » diceva, «voglio presentarmi alla testa dell’esercito, e sfidare i più bravi tra i nimici per immolarli al nostro amico. —
«Nel frattempo, Geland, assiso sul trono e circondato dalla corte, si fece condurre il gigante. — Cane maledetto! miserabile Arabo!» gli gridè; «non sei tu che uccidesti mio figlio Korgian, il bravo del suo secolo, lo spavento degli eroi? — No, » rispose il gi-