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sulla cima d’una picca la testa di Korgian, che non aveva voluto abbracciare l’islamismo. Allora l’esercito vittorioso mosse alla volta di Omman.

«I fuggiaschi vi avevano già recata la nuova della sconfitta dell’esercito di Korgian; il re Geland gettò a terra la corona, lacerossi petto e volto, e la disperazione ed il furore lo trassero fuor de’ sensi. Rinvenuto: — Scrivete a tutti i nabab, » disse al visir, «per comandar loro di raccogliere sull’istante tutti quelli che sono in istato di maneggiare la sciabola, di tender l’arco e portare la lancia.» Obbedirono i nabab a’ suoi ordini, e da tutte le parti giunsero alla capitale con numerose truppe, che formavano circa centottantamila uomini.

«Appena quest’esercito fu adunato, che gli avamposti annunziarono l’arrivo dei credenti, comandati da Gemerkan e dal gigante della montagna. Poco mancò che Geland non perdesse la testa a tale notizia, e siccome i re hanno sempre bisogno di qualche pretesto per dar adito all’ira, non mancò di accusare Agib d’essere la cagione di quella disgrazia, e di aver attirata la guerra sulla sua città. — Cane dell’Irak, » gli disse, «ecco l’opera tua! Giuro pel sole lucente, che se non se ne risentisse l’onor mio, e non avessi a vendicare il sangue de’ miei guerrieri, ti farei mozzare il capo!

«Non potè Agib sopportare quegl’insulti. Malcontento del re Geland, e convinto ch’ei più non potrebbe difenderlo contro il fratello, si alzò una notte, e disse a’ suoi: — Andiamo, prepariamoci a partire; qui non v’ha più asilo per noi! Ripariamo presso Yareb, il più potente dei re dell’Arabia!» Piacque l’idea alla sua gente, ed ai primi albori erano già assai lontani.

«Frattanto, d’ordine del re Geland, rimbombarono i timpani, le trombe squillarono, mentre egli stesso