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mezzo a loro le soldatesche contrarie. Pieni di tal idea ed ingannati dall’oscurità notturna, assalironsi l’un l’altro, facendo orribile strage di sè medesimi, sinchè il giorno venne ad illuminare il loro errore. Nello stesso tempo, videro comparire all’estremità dell'orizzonte un nembo di polvere, e venendo i raggi del sole nascente a percuotere in quella nube, furono riflettuti da ferri di lancia, scudi e corazze lucenti. Erano i due eserciti de' credenti sotto gli ordini del gigante della montagna; salutaronsi reciprocamente il gigante e Gemerkan, e gl’infedeli, al loro avvicinarsi, tremarono. Cominciò la pugna, ne fu oscurato il cielo, e la terra scossa sino alle fondamenta.
«Si combattè così tutto il giorno, e più d’un terzo degl’infedeli morse la polve. — Indeboliamo inutilmente le nostre forze, » disse Korgian; «domani voglio sfidare a singoiar tenzone i più bravi tra’ nimici per liberarcene.» Il primo che accettò la disfida fu il capo della tribù de’ Beni Hamir; preso il campo, piombarono l’un sull’altro come due arieti furiosi. Korgian cacciò dall’arcione l’avversario, e fece provare la medesima sorte a sei altri guerrieri che si presentarono dopo. Dolente di quella disfatta, Gemerkan uscì dalle file per misurarsi con Korgian, il quale, bestemmiando, giurava pel sole e per la luna, e preparossi a riceverlo. Si azzuffarono per un’ora intiera, spezzando le lance e le spade. Finalmente, Gemerkan atterrò l’avversario, che cadde al suolo come palma sradicata dalla tempesta.
«La caduta del capo prostrò il coraggio degl’infedeli e li immerse nella disperazione. I credenti assaltaronli di nuovo, li posero in fuga, e le loro sciabole risuonarono sul dorso delle corazze nemiche. Si dispersero gli avanzi sulla montagna: immenso era il bottino lasciato sul campo di battaglia, e fu posta