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rono su di loro come la folgore: settemila uomini furono fatti prigioni, ed il resto si disperse pel deserto. Si celebrò la vittoria con molte allegrezze, e si mandarono i prigionieri a Kufah sotto la scorta di mille soldati, per annunziarvi la lieta novella di quel primo trionfo. — Andate, » disse allora Gharib al gigante della montagna, «prendete ventimila cavalieri e marciate sulle tracce di Gemerkan verso il paese di Omman. —

— «Intanto, tornati ad Omman i fuggiaschi in uno stato degno di pietà, vi riferirono la disfatta dell’esercito. — Miserabili, » sclamò Geland, «eravate settantamila contro ventimila, e vi lasciaste sconfiggere? Non siete degni di vivere!» Allora si mise egli stesso a farne strage colla scimitarra; i grandi ne seguirono l'esempio, ed i corpi di quegl’infelici furono gettati ai cani. Il re fece poi chiamare suo figlio, detto Korgian, che in tutto l’esercito non avea l’eguale per coraggio. Era un guerriero in grado di misurarsi solo con trecento cavalieri. — Va, » gli, disse Geland. «prendi centomila uomini, e portami la testa di quel ribaldo.» Partì Korgian sul momento, e marciò per dieci giorni senza incontrar nessuno. L’undecimo, scorto un turbinio di polvere sollevarsi nell’arra, Korgian mandò un uffiziale alla scoperta, il quale tornò ad annunziargli esser l’esercito de’ credenti che s’avanzava; era infatti quello di Gemerkan. Sostarono i due eserciti, accampandosi rimpetto l’un dell’altro. Gemerkan si avvisò d’un’astuzia di guerra, che fu coronata dal miglior successo; fece coprire di sonagli e campanelli i muli del suo campo in numero di ventimila, e comandò di cacciarli a lanciate nel campo avversario. L’ordine fu eseguito, e quella moltitudine di muli e camelli destò col suo rumore tutti i nimici, i quali: — Siamo perduti!» gridarono, immaginando già in