Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/521


111


sieme a circa un centinaio di cavalieri, giunse in una valle deliziosa, ove avevano dimora gli usignuoli e le gazelle. Sedettero tutti al rezzo e sulla molle erbetta per passarvi la giornata; ma d’improvviso si fe’ udire un orribil grido, ed essendosi Sehmalleil alzato per correre alla scoperta, ritrovò cavalli in fuga, un serraglio disperso, fanciulli da una parte, schiavi dall’altra. Presa informazione, gli fu detto ch’era il serraglio dell’emiro Mardas, capo della tribù di Beni Katan, assalito il giorno innanzi dal gran guerriero Gemerkan, il quale aveva ucciso Mardas e rapita la di lui figliuola. Tornò dunque Sehmalleil a Gharib per avvisarlo che quel ladrone avvicinavasi con parte del bottino.

«Il giovane, ardendo di vendicare simile oltraggio, corse incontro alla truppa, che si avanzava, e gridò: — Dov’è Gemerkan? Facciasi innanzi se l’osa; venga a misurarsi meco!» Era costui un Amalecita di statura gigantesca, il quale, per sola arme, »portava una mazza d’acciaio della China, con cui avrebbe potuto ridurre in polvere una montagna, e voleva scaricarne un colpo sul capo a Gharib; ma questi, fatto un movimento di fianco, lo schivò felicemente, talchè la mazza sprofondò vari piedi entro la terra. Colse Gharib il momento in cui l’Amatecita sforzavasi di svellere l’arme dal suolo, e gli scagliò un colpo sì furioso sulle dita, che glie le infranse, e la clava gli sfuggì di mano. Proseguendo poscia a percuoterlo colla propria, gli fracassò i fianchi. Nel frattempo, venuti alle mani i cavalieri di Gemerkan o di Gharib, i primi furono tagliati a pezzi, ed i superstiti fuggirono a briglia sciolta verso il castello del loro signore, per chiamar in soccorso il resto dei compagni.

«Gharib fecesi condurre dinanzi Gemerkan, la cui fierezza non era abbattuta per la disfatta delle sue truppe. — Cane d’Arabo, » gli disse, «tu eserciti il