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«Frattanto, lo si cercava nel suo campo, ed una costernazione generale si sparse in tutto l’esercito; ma il gigante della montagna, rianimato il coraggio dei soldati, si avanzò innanzi alle file per isfidare i nemici a singolar tenzone. — Inoltratevi, » gridava, «miserabili adoratori degl’idoli; oggi è il giorno della prova: chi mi conosce non osa accostarsi; venga dunque chi non mi conosce, ed impari a misurarsi meco! —
«Due o tre bravi arrischiarono ad accettare la sfida, ma col primo colpo il gigante li distese privi di vita al suolo, li fece arrostire, e se li mangiò a colazione. Vendichiamo l’ingiuria!» disse Agib al suo esercito, e comandò un assalto generale. Ventimila uomini precipitaronsi sul gigante della montagna, il quale, solo, fece fronte a tutti e ne sostenne l’assalto. Allora, l’esercito de’ credenti si mosse al soccorso, ed il combattimento, che fu sanguinoso, durò sino al tramonto del sole. Il gigante, coperto di ferite e traforato da cento colpi di lancia, fu fatto prigioniero e condotto nella stessa tenda di Gharib, che rassegnavasi al volere di Dio.
«Agib era fuor di sè per la gioia. — Domani, » diceva, «annienteremo affatto i nostri nemici, codesti famosi credenti!» Questi, abbattuti, si sarebbero abbandonati alla disperazione, se Sehmalleif non ne avesse rianimato il coraggio. Scelse pertanto mille uomini, che appostò tra i due campi per esser pronti al primo segnale della pugna, e trovato quindi mezzo di penetrare travestito nella tenda di Agib, dov’erano adunati tutti i generali che bevevano per ristorarsi delle fatiche della giornata, gettò oppio nell’urna del vino, talchè tutti quelli che ne bevvero addormentaronsi all’istante. Legolli Sehmalleil, poscia affrettossi a rendere la libertà ai prigionieri, diede loro armi, e rimise Agib nelle mani di Gharib.