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ai primi albori. Attendevano i credenti che Gharib venisse a mettersi alla loro testa, ma non comparve: entrò Sehmalleil nella di lui tenda, ed era vota; s’informò se non si fosse veduto il fratello, ma niuno seppe dargliene nuova. Era accaduta al giovane un’avventura straordinariissima. Dopo aver combattuto per due giorni indarno, Agib, fatto chiamare un furbo pieno d’astuzie, di nome Sesciar, gli comandò di condurgli suo fratello vivo o morto. Penetrò il ladrone nella tenda di Gharib, favorito dalle tenebre ed attese l’occasione propizia d’eseguire il suo disegno. Svegliatosi l’eroe e chiesto da bere, Sesciar inoltrassi presentandogli una tazza nella quale era mista una dose fortissima d’oppio. Perdette dunque Gharib l’uso de’ sensi, ed allora Sesciar, legatolo ben bene, se lo buttò in ispalla e lo portò nella tenda d’Agib.

«— Benedetti siano gl’idoli!» disse questi. Poi, gettato aceto in volto all’avversario per farlo rinvenire, uscì questi in fatti dal suo letargo, e vedendosi in altra tenda, sclamò: — Non v’ha forza o protezione che in Dio! — Cane, » gli disse Agib, «pretendevi farti vendicatore di tuo padre e di tua madre; or ora li andrai a raggiungere. — Cane tu, » riprese Gharib; «vedrai cosa sia meritare la collera di Dio in questo mondo e nell’altro! Convertiti, mentre n’è ancor tempo, e di’ meco: Non v’ha altro Dio che Dio, ed Abramo è il diletto di Dio!» A tali parole, Agib digrignò per furore i denti, e comandò di chiamare il carnefice. Ma il visir, il quale, in fondo del cuore, era musulmano, benchè esteriormente professasse la religione degl’infedeli, gettatosi a’ piedi del monarca: — Non precipitate nulla, gran re, » gli disse, «lasciateci prima annientare l’esercito nemico, ed allora lo abbandoneremo al braccio della giustizia.» Si arrese Agib al consiglio del visir, e comandò di custodire il prigioniere.