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«La mattina appresso i due eserciti prepararonsi alla pugna, il gigante della montagna, uscito dalle file, sfidò il nemico. — Chi avrebbe il coraggio, » gridò, «di misurarsi col gigante della montagna?» Comparendo nessuno, disse a’ suoi figli: — Accendete un gran fuoco, perchè ho estrema fame.» D’improvviso ecco presentarsi un cavaliere amalecita per accettare la sfida. Tutte l'armi che portava consistevano in un tronco d’albero, col quale sperava d’ammazzare il gigante; ma questi parò il colpo con una giovane palma che gli serviva di mazza, ed atterrò l'Amalecita. — Fatemi arrostire quel miserabile, » disse a’ figliuoli. Questi lo gettarono sul fuoco, ed ei lo divorò. Colti gl’infedeli da terrore, e temendo di partecipare alla sorte dell’Amalecita, si diedero a precipitosa fuga, ma inseguiti da Gharib e dall’esercito suo, i fuggiaschi ebbero neppur il tempo di chiudere le porte della città: il gigante ed i suoi figli vi entrarono insieme, e si diressero verso il palazzo del re, mentre tutto cedeva ai colpi del terribile avversario, e da tutte le parti gridavasi: — Perdono! — Caricate di catene il vostro re, se volete che vi perdoni, » disse il gigante. E quelli a legare il re, ed il gigante a cacciarseli innanzi come un gregge di pecore, conducendoli così davanti a Gharib. — Ecco, » gli disse, «cosa porto da cena per questa sera. Salvatemi, » gridò Giamek, volto al duce, «salvatemi dalle mani di questo terribile gigante! — Abbraccia l’islamismo, » gli disse il giovane, «e sarai preservato non solo dal gigante, ma ben anche dai supplizi e castighi eterni riservati agl’infedeli.» Pronunziò Giamek la sua professione di fede, e divenne buon musulmano.

«Alla domane, Gharib si rimise in marcia. Agib, informato dei disegni del fratello, radunò un numeroso esercito, col quale venne ad accampare presso Mossul.