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Scebur, ed ora torna più orgoglioso che mai. «Mutò Agib di colore udendo simile nuova. — E la madre di questo bastardo è essa con voi?» gli chiese — Sì. — Come si chiama? — Nassra. — È dessa! Sia qui condotta.» Riconobb’egli la schiava incinta di suo padre, e non sapendo frenar l’ira, sguainata la sciabola, tagliò a pezzi quella sventurata. — Potessi far altrettanto, » sclamò, «di Gharib, figlio d’una prostituta! Prendo vostra figlia in consorte. — È vostra schiava, » rispose Mardas. Gli diè Agib trentamila zecchini di dote, cento pezze di broccato, cento veli ricamati, ed altrettante collane e braccialetti.

«Frattanto Gharib erasi colla sua truppa avanzato verso la prima città d’Algen. Gli abitanti, chiuse le porte, prepararonsi alla resistenza. Il governatore di quella città, chiamato Damigh, vale a dire Beccaio, poichè immolava tutti i bravi che gli cadevano in mano, mandò a riconoscere gli assalitori il suo generale Sebi Kufar, ossia il Leone Selvaggio. Questo parlamentario, fattosi condurre alla tenda di Gharib: — Vengo, » gli disse, «da parte del re di Mesopotamia, fratello del re Kendemar, il più antico de’ sovrani dell’Irak.» Al nome di Kendemar, vennero a Gharib le lagrime agli occhi.— Andate, » rispose poi all’inviato, «andate a dire al vostro padrone che l’uomo che qui vedete è il figlio del re Kendemar, ucciso da Agib, e viene per vendicare la morte di suo padre.» Tornò il messo, e soddisfacendo al suo messaggio: — Che dite?» sclamò Damigh. «Come! Il figlio di mio fratello sarebb’egli veramente alle porte di questa città? — La cosa è quale ho l’onore di riferirla a vostra maestà, » rispose l’inviato; «vi racconto tutto ciò che ho udito. — Mi par di cadere dalle nuvole, » disse Damigh; «in tal caso bisogna che lo vegga. —