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«Erano essi i primari della corte, e gelosi della gloria e della fortuna di Gharib, cercavano di render pericolosi i colpi che gli menavano. Ma egli, posta ogni fiducia in Dio ed in Abramo diletto di Dio, avanzossi coraggiosamente contro gli avversari, e li fe' votar tutti d’arcione senza difficoltà, benchè non tenesse la lancia se non colla cima dei denti. Al torneo susseguì un banchetto, dove si mangiò bene e si bevve meglio. Il re volle pur trattare lautamente l’ospite la sera che precedette il giorno in cui partir doveva pel Gran Deserto; Gharib, che non era gran bevitore, ubbriacossi un poco, e volendo ritirarsi, si smarrì di stanza in istanza, finchè giunse nell’appartamento della principessa, la quale, non appena l’ebbe veduto, comandò alle schiave d’uscire e lasciarla sola col giovane, e corsa a gettategli al collo: — Mio caro Gharib, » gli disse, «son vostra schiava; mi liberaste dalle mani del gigante, ed il tesoro, che col rischio della vita ho preservato contro gli attentati di quel miserabile, v’appartiene.» Non trovò Gharib nulla da opporre alla conseguenza del discorso della principessa; ma corrispose alle sue carezze, e passò con lei la notte.

«Essendosi il re in quel giorno alzato per tempo, discorreva co’ cortigiani del valore del Beduino, allorchè, guardando dalla finestra, vide.... Gharib uscire dall’appartamento della principessa?... niente affatto: vide da lontano un nembo di polvere ognor crescente. Mandò quindi alla scoperta un suo uffiziale, il quale tornò ad annunziargli essere cento cavalieri arabi condotti dall’emiro Sehmalleil. Gharib, che aveva inteso tutto, era già salito a cavallo per volare incontro al fratello. Dopo che si furono abbracciati, l’eroe gli chiese: — Ebbene, che fa adesso Mardas, quel padre infedele alle sue promesse? — Fu violentemente contrariato, » rispose