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sul giovane da tutte le parti. Per dieci giorni intieri non furono che feste continue; l’undecimo, Gharib volle accommiatarsi dal re.— Non lo permetterò certo, » rispose il principe; «devi restare alla mia corte almeno un mese. — La maestà vostra si degni di scusarmi, » rispose Gharib, e ma io amo una giovane araba, e volo a’ suoi piedi. — Dimmi, » chiese il re, « la tua amante ha essa maggior merito di mia figliuola? — Qual paragone, gran re!» riprese Gharib. «Tra lo schiavo ed il padrone, la distanza è infinita. — Or bene, » soggiunse il re, «Fakhartadj è tua schiava, tu l’hai tratta dalle mani del gigante, ed ella dev’essere tua moglie. — Ma una principessa esige una dote ragguardevole; perdonate, gran re, io non sono che un povero Beduino. — Parli indarno. Il re Kharakhah mandò per dote di mia figlia centomila zecchini, ma io preferisco darla a te senza dote.» E voltosi in pari tempo ai grandi della corte che lo circondavano: — Vi prendo a testimoni che voglio dare mia figlia Gloria-della-Corona in consorte a Gharib.» Non potendo più oltre ricusare quell’unione, il giovane acconsentì di buona grazia, ed offrì di dare per dote i tesori del gigante della montagna.

«— Non li voglio, » disse il re; «la sola cosa che esigo dallo sposo di mia figlia è la testa di Gemerkan, re del Gran Deserto. — Permettetemi, » riprese Gharib, «di andar a prendere il resto de’ miei compagni, affinchè mi secondino nell’impresa. » Ma Scebur non volle acconsentirvi, per timore che non tornasse più. Il giorno appresso v’ebbe un torneo alla presenza del re, e Gharib chiese il permesso di rompere una lancia coi cavalieri persiani. — M’impegno, » diceva, «di prendere la lancia coi denti, e parare tutti gli assalti.» Fece il re bandire simile disfida, e tosto comparvero nella lizza milledugento cavalieri.