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giosi gli dissero di non avere in quell’anno veduta la real donzella.
«Udita da Scebur la funesta notizia, gettò per terra il diadema, strappossi la barba bianca pegli anni, e cadde privo di sensi. Quando riaprì gli occhi, pronunziò questi versi:
««Invoco le lagrime e la pazienza; ma le sole lagrime rispondono alla mia voce.
««Il destino ed il tempo furono quelli che mi hanno da te diviso: quanto ingiusti sono il tempo ed il destino!»»
«Comandò quindi a dieci suoi generali di mettersi ciascuno alla testa di mille cavalieri, e percorrere il paese in direzioni diverse, per procurar di saper nuove della figliuola.
«Questa erasi posta in viaggio sotto la scorta di Gharib per tornare alla corte del padre, e la carovana camminava da dieci giorni, senza aver incontrata nessuna avventura; ma l’undecimo, fu visto un gran nembo di polvere che avvolgeva una truppa di mille cavalieri. Era la tribù dei Beni Hital, sotto gli ordini di Sansone Ben Algiurab. — Avanti! all’assalto!» gridò Gharib ai suoi; ed immantinente questi scagliaronsi gridando: — Al sacco! al sacco! Allah Akbar! Allah Akbar!» Tutto il giorno durò la pugna, e quando venne la notte a separare i combattenti, cinquecento Arabi dalla parte di Sansone e cento Persiani da quella di Gharib aveano morso la polve. — Per la mia vita,» sclamò Sansone, «io non aveva ancor trovato un cavaliere sì valoroso come quel giovane; ma domani combatteremo assieme in campo chiuso!» Dal canto suo, la principessa venne incontro all’eroe e ne baciò la staffa, esprimendogli tutta l’inquietudine provata per la di lui sorte. Gharib, lavato il sangue e la polvere ond’era coperto, si pose allegramente a cena: ma la mattina appresso, ai primi raggi del sole, ricominciò il conflitto. Un ca-