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tro di lui agitando la clava, i cui anelli mandarono uno strepito simile al fragor del tuono, Yethun rimase colpito di terrore, e l’altro menatogli colla clava un colpo sulle spalle, colui cadde al suolo come un dattero maturo; laonde impadronitisi di lui, lo legarono ben bene. Tre de’ suoi compagni ebbero la medesima sorte; ma il quinto scampò, e corse a riferire al gigante la sconfitta e schiavitù de’ fratelli. — Siete tanti poltroni, » sclamò questo, «indegni della mia schiatta.» Sì dicendo, sradicato un albero, avanzossi tranquillamente verso il luogo dove Gharib ed i suoi compagni eransi fermati. Col primo colpo di quell’arme ne uccise cinque: Sehmalleil evitò il secondo che gli era destinato. Furioso d’averlo scagliato indarno, piombò il gigante su di lui come il crudel avvoltoio piomba sui debole passero: ma quando Gharib vide il pericolo dell’amico, imbrandì la clava gridando: Allah Akbar! Allah Akbar!.» e recitò la sua professione di fede, scaricando in pari tempo sì violento colpo sui fianchi del gigante, che lo stese al suolo. Fu l’infedele legato come i cinque suoi figliuoli; poscia li trascinarono, come fasci di riso, nel luogo dove il gigante aveva ammassati i suoi tesori. Mille e cento schiavi vi si trovavano incatenati ad anelli di ferro. Gharih sedette, circondato da tutti i suoi compagni, sul trono del gigante, che chiamavasi Lasussa, figlio di Scedid, figlio di Scedad, figlio d’Aad. — Razza maladetta, come state adesso?» disse Gharib al gigante. — Malissimo, » questo rispose, «poichè siamo legati come balle di mercanzie. — Ebbene, » riprese il giovane, «abbraccia la mia credenza, riconosci il Dio che ha creato la luce e le tenebre, e di’: Non v’ha altro Dio che Dio, ed Abramo è il diletto di Dio!» Pronunziò il gigante le parole, e convertissi con tutti i suoi figli all’islamismo. Voleano poi baciare a Gharib i piedi per ringraziarlo della libertà; ma egli negandolo: