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fice dell’acqua un piede, si allontanò colla mula, che gli fu pure pagata cento pezze d’oro. Il qual mestiere di annegar i Mogrebini in modo sì lucrativo piacque tanto a Giuder, che subito la mattina appresso tornò al Birket-al-Karun, e quasi nel medesimo istante, ecco venire un terzo Mogrebino ancora più notabile dei precedenti per la ricchezza degli abiti e l’equipaggio della mula. — Non hai veduti i miei fratelli?» chiese costui a Giuder. — Sì,» questi rispose; «e’ si divertono coi pesci, attendendo che andiate a raggiungerli. — Dici bene,» ripigliò il Mogrebino; «tale è infatti la mia intenzione. — Disponete di me,» disse Giuder; «sono già al fatto del mestiere.» Sì discorrendo, lo legò strettamente, e gettatolo nel lago, attese qualche minuto. D’improvviso vide comparire al di sopra dell’acqua una mano; allora, gettate le reti, ricondusse il Mogrebino alla riva, mentre teneva in mano due pesci rossi come corallo, che nel medesimo istante pose in due coppe, cui trasse dalla valigia. Poi, baciato Giuder in fronte, lo ringraziò di avergli salvata la vita, col gettare le reti appunto nel momento opportuno. — Se credete di avermi qualche obbligazione,» gli disse Giuder, «per parte mia vi sarò obbligatissimo, se voleste raccontarmi la storia dei due Mogrebini che vi hanno preceduto, e così pure quella di questi due pesci.

«— I due Mogrebini annegati,» disse il terzo,«erano miei fratelli; il primo chiamavasi Abdosselim e l’altro Abdossamed. Il Giudeo, ch’è giudeo quanto lo sei tu, ma bensì un fedele musulmano, chiamasi Abderrabim, ed è mio terzo fratello. Nostro padre era un gran mago, che possedeva a fondo tutti i segreti delle scienze occulte, e ci lasciò beni immensi che dividemmo tra di noi dopo la sua morte; ma però non ci potemmo accordare intorno a possesso de’