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che, elmi, scudi adorni d’oro, sciabole indiane, corazze di David ed altri simili oggetti. Era il terzo guernito di armadi coperti di cortine di seta broccate d’oro, alzate le quali videro pezze di stoffe ricchissime di tutte le specie. Nel quarto gabinetto in fine vedeansi vasi d’oro e d’argento, e tutti i mobili acconci alla toletta de’ grandi: vasi d’oro e d’argento, di porcellana e di cristallo di rocca, coppe d’onice e d’agata; ciascuno ne prese quanti ne volle. Seguendo, al ritorno, la stessa strada per la quale eran venuti, trovarono una gran porta intarsiata d’avorio e d’ebano, e celata agli occhi da un velo di seta e d’oro. Era chiusa da un catenaccio d’argento, nè poteva aprirsi con nessuna chiave, ma sol mediante una susta nascosta, che cedette agli sforzi dello sceik Abdos-Samed. Entrarono in una sala, ornata d’un magnifico tappeto, dove vedeansi rappresentate tutte le specie di quadrupedi e d’uccelli, e tutte le specie d’alberi e di fiori che trovansi nella natura. Non lungi di là era un piccolo gabinetto colle mura di marmo sì terso che parevan d’acciaio. Pieno era il luogo d’una moltitudine di perle, di rubini e fini smeraldi, sicchè i nostri viaggiatori teneano gli sguardi talmente fissi su que’ tesori, che vi sarebbero forse rimasti in eterno, se l’emiro Mussa non avesse pregato lo sceik Abdos-Samed di rompere l’incanto e condur via i compagni. Capitarono poi sotto una vasta cupola, rivestita di granito rosso, la cui bellezza superava quanto aveano sin allora veduto. In mezzo alla cupola sorgeva una specie d’alcova o piccolo oratorio, le cui finestre guardavano verso tutti i lati della sala, chiuse con graticci formati di smeraldo adorno di diamanti. In mezzo all’alcova trovavasi un padiglione di stoffa d’oro, sostenuto da pilastri pur d’oro, su ciascuno de’ quali posava un uccello colle penne di smeraldo ed il becco di rubino. Sotto il padiglione era un letto tutto sfol-