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ed una infatti ve n’era che conduceva al basso. Lo sceik vi trovò la statua d’un cavaliere, che teneva in mano un pomo, sul quale stavano scritte le seguenti parole:

«Strappa dal piede del mio cavallo un chiodo di ferro, e fregalo dodici volte, se vuoi che la porta si apra.»

«Sollecitossi lo sceik a fregare il chiodo dodici volte, e la porta girò sui cardini con fragore simile al tuono. Discese quindi per quella porta che dall' alto degli spaldi conduceva nella città, per vedere se non vi fosse qualche mezzo di far entrare i compagni rimasti fuor del recinto. Si volse alle casematte, dove trovò una moltitudine di soldati morti, ma ancora compiutamente armati, collo scudo in braccio, la sciabola nuda, la lancia in resta e l’arco teso, quasi fossero stati sul punto d’attaccare, il nemico. — Son queste certo le guardie della città,» pensò lo sceik, «e sono sicuro che le chiavi debbano trovarsi presso qualcuno di costoro.» Accostassi ad un veechio che gli parve essere il portinaio, e grande fu la sua gioia scorgendo infatti le chiavi appese alla di lui cintola. La porta era barricata e difesa pure da una saracinesca; ma lo sceik pervenne a togliere tutti gli ostacoli ed aprire la porta con alta soddisfazione di quelli che l’attendevano di fuori. Per precauzione, l’emiro non fece entrare se non la metà della sua gente, mentre gli altri vegliavano all’esterno. Cominciarono dal cercare i cadaveri de’ falegnami caduti dall’alto delle mura, ed inoltraronsi poi in buon ordine sino al mercato, dove trovavansi le botteghe ancor piene di merci, cogli uomini tutti morti, ma tuttavia nell’atteggiamento del vendere e del comprare, ed allungando quelle lor mani ischeletrite. I nostri viaggiatori, attraversato il mercato de’ gioiellieri, degli armaiuoli e dei mercanti di stoffe di seta, giunsero dinanzi ad un gran