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sua statua d’onice, e riconoscere non esservi altro Dio fuor di Dio, e che Salomone era il suo profeta. Adunò il re il suo consiglio per sottoporgli la proposta di Salomone, e domandò se fosse da temere. — Perchè temerlo?» dissero i consiglieri; «voi abitate un’isola inaccessibile e difesa da una legione di geni sempre pronti a combattere Salomone, i cui sforzi torneranno vani contro il vostro potere; nondimeno, interroghiamo il genio della statua d’onice, e vedremo a che ci consigli.» Fatto scorrere il sangue delle vittime, il re si prosternò davanti alla statua, ed espose l’imbarazzo nel quale trovavasi. — Non temer nulla! Sfida tutto! ti garantisco felice esito!» rispose una voce. Rassicurato da simile oracolo, il re fe’ flagellare l’inviato, e lo rimandò al padrone per istruirlo dell’esito dell’ambasciata. Sdegnato Salomone per tanto oltraggio, ragunò il suo esercito composto di geni, d’uomini, di bestie e d’uccelli. Demirat, re dei geni, comandava l’esercito degli spiriti in numero di settantamila, ed il visir Assaf, figliuolo di Berakhia, comandava l’esercito degli uomini d’egual numero.

«L’innumerevole armata approdò nell’isola, impossessandosene in tutta la sua estensione; ma Salomone, sempre magnanimo, mandò al re un secondo ambasciatore, che gli fece le medesime proposte del primo, e gli offrì il perdono di tutto il passato, se volesse concedere al possente monarca la figlia ed abbracciare la sua credenza. Ma colui, ostinato nella sua risoluzione, preparossi alla difesa, avendo adunato un milione di geni di tutte le isole e dei mari della terra. Salomone schierò la sua oste, collocò alle due ali le bestie, e posti gli uccelli nell’aria come esploratori, affinchè col becco strappassero gli occhi agl’inimici, salì egli stesso sur un trono magnifico, avendo alla destra il generalissimo degli uomini ed alla sinistra quello dei geni.