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colla lancia d’acciaio, sul cui ferro stava scritto, in caratteri leggibili, quanto segue:
«Viaggiatore, se per caso non sai la strada della città di Bronzo, fammi colla forza del tuo braccio girare, e segui la strada verso la quale avrò, fermandomi, volto il viso.»
«Mussa, con un colpo di mano, pose in moto la statua, che girò colla rapidità del baleno, fermandosi infine dal lato opposto alla via per cui camminavano. Cangiata perciò la direzione, e trovandosi allora nella strada che doveano seguire, continuarono il viaggio notte e giorno, e procedendo in tal guisa, trovarono una colonna di marmo nero, alla quale stava incatenato una specie di mostro con due ali, due mani e due zampe. I suoi capelli ruvidi somigliavano a crini di cavallo; gli occhi brillavano, come due carboni, e ne aveva un terzo in fronte, dal quale uscivano faville. Sclamava con voce romorosa; — Lode a Dio, mio signore, che mi ha imposto questo castigo sino al giorno del giudizio!» La carovana, colpita di terrore, voleva tornar indietro, ma l’emiro Mussa comandò allo sceik Abdos-Samed di avvicinarsi a quell’essere singolare ed interrogarlo. — Io sono,» rispose il mostro,«uno spirito della razza dei geni; mi chiamo Demsch, figlio d’Alagmesch; sono qui incatenato per una cagione straordinaria, e Dio solo sa sin quando vi dovrò restare. — Narrateci questa causa maravigliosa,» ripigliò Mussa. — Io era un tempo,» soggiunse il genio,«custode d’una statua d’onice appartenente ad un re del mare, duce d’un esercito di migliaia di geni, cui rinchiudeva in detta statua. Ribellaronsi essi tutti col loro re contro Salomone, ed avendo quel monarca una figliuola di rara beltà della quale parlai un giorno a Salomone medesimo, questi gliela chiese in matrimonio, comandandogli in pari tempo di spezzare la