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seguì egli, volgendosi allo sceik Abdos-Samed, che pronunziò le parole seguenti del Corano: — Voi forse fuggirete da un oggetto che sarà un bene per voi. Dio sia lodato per gl’innumerevoli suoi benefizi e l’infinita sua misericorda. — Perchè;» domandò l’emiro Mussa, «recitaste questa preghiera? — Rallegratevi, o principe,» disse io sceik; «ora abbiam attraversato il deserto, e non abbiamo più nulla a temere dalle belve, poichè, quantunque io non sia mai stato in questa contrada, la conosco per la descrizione che me ne fece un viaggiatore, il quale andava, come noi, alla città di Bronzo, e smarrita la strada, capitò a codesto palazzo. Di qui ci vuole ancora un mese sino a quella città, e di là altri quattro sino al paese ove trovansi i vasi che cerchiamo. — Non ci sapreste dire,» soggiunse l’emiro Mussa, «chi abbia posseduto questo edificio? — No,» rispose lo sceik, «non ne so nulla affatto; ma credo che abbia appartenuto ad Alessandro.» Sì discorrendo, accostaronsi al palazzo, le porte del quale erano chiuse, ed entrarono in un cortile, le cui mura erano adorne d’oro e di pietre preziose; sulla porta stava incisa in greco la seguente iscrizione:
Entra qui per imparare la storia di coloro che un tempo furono i signori del mondo. E passarono come viaggiatori frettolosi, ed ebbero appena tempo di riposare.
«L’emir Mussa ne fu scosso sino alle lagrime, ed entrò negli appartamenti, ch’erano ancora più magnifici. Sopra una delle porte leggevasi quest’altra iscrizione:
Qual folla innumerevole circolava un dì sotto queste volte! Vedi che cosa son divenute nel corso de' tempi!
«Nuove lagrime sparse Mussa nel leggere quei detti, e percorse, coll’emiro Abdalaziz e col resto dei