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provvigioni, a prendete falegnami e fabbri ferrai, che potranno esserci utili; ma non conducete altre bestie fuor de’ camelli, poichè essi soli possono sopportare le fatiche di tal viaggio.» Si posero in cammino invocando il nome di Dio, e dopo aver viaggiato un anno, lo sceik Abdos-Samed sclamò: — Dio è grande, ma io credo di aver smarrita la vera strada, poichè non conosco affatto questo paese. Dio ci condurrà; proseguiamo la nostra via, e confidiamo in lui!» Giunsero così in una pianura immensa, liscia quanto il mare tranquillo, in mezzo alla quale scorsero come una nuvola di fumo, ed un non so che di brillante verso cui si diressero.

«Era un palazzo magnifico, il cui tetto andava coperto di tavole d’ebano incrostate d’oro. Le porte d’acciaio della China abbagliavano; le colonne avevano quattromila passi di circonferenza, e quello che i viaggiatori avevano preso per fumo, era una cupola di piombo nero. Del resto, non si vedevano altri esseri viventi che pipistrelli e corvi, i quali vi facevano i loro nidi, empiendo l’aria dei loro lugubri gridi. — Non v’ha altro Dio che Dio!» sclamò l’emir Mussa, colpito di maraviglia. «O palazzo, che fu de’ tuoi abitanti? Dormono del sonno della morte, come se non avessero mai vissuto! Dov’è la pompa dei principi e dei re che abitarono entro te tue mura? Iddio li ha dispersi come il vento disperde la paglia leggera! Orsù, entriamo» pro-

    viaggiatori che un tal vento sorprende in via lungi di ogni asilo! ne risentono tutto l’effetto, talvolta spinto sino alla morte. Il pericolo sta specialnneate nel momento de’ buffi; allora la celerità raddoppia il calore a segno di uccidere come il fulmine con circostanze singolari; poichè ora uno cade in mezzo a due altri che rimangono vivi, ed ora basta mettersi un fazzoletto al naso, o ficcarlo in un buca di sabbia come fanno i camelli, o fuggire di galoppo come sogliono gli Arabi.