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reo d’un grande spergiuro. — Queste sono visioni di uomo melanconico,» tornò ad insistere il padrone dei bagni. «Io prendo su di mè tutte le funeste conseguenze della violazione del vostro giuramento. Venite, ve ne prego ginocchioni. —

«Avendo questo lieve altercò prodotto qualche rumore, molte persone che venivano ai bagni, adunaronsi intorno a Giamaspe, e prese le parti del padrone, stringendolo a cedere alle brame dell’amico, impossessaronsi di lui, e lo spinsero innanzi, facendolo entrare nel bagno e spogliandolo ad onta delle sue proteste. Più di venti in una volta si posero a versargli acqua addosso per lavarlo, e terminata l’operazione, lo fregarono ed asciugarono. Aveva appena Giamaspe ripigliate le vesti, che si venne ad avvertirlo essere alla porta il gran visir con sessanta mamelucchi, il quale chiedeva di parlargli. Affrettassi egli ad ubbidire agli ordini dei visir, e questi lo condusse al palazzo del sultano, ove attendevalo uno splendido banchetto. Dopo il pasto, il visir gli fece il dono di due vesti d’onore, ciascuna delle quali valeva ben mille! pezze d’oro. Non sapeva il giovane a che cosa attribuire quei contrassegni d'onore, allorchè il visir gli disse: — Il sultano nostro signore è ammalato pericolosamente, e voi solo siete in caso di guarirlo. — Io non sono medico,» rispose Giamaspe; «pure son pronto a conformarmi agli ordini del re.» Preceduto adunque da un corpo numeroso di soldati, inoltrossi tra due file di guardie, ed attraversati sette cortili, si trovò nell’interno del palazzo. Chiamavasi il sultano Guserdan. Mille principi erano seduti intorno a lui su troni d’oro, duemila governatori stavangli davanti in piedi, e di dietro mille carnefici colle sciabole sguainate. Il re dormiva sul trono, col volto coperto d’un velo. Giamaspe rimase alla prima un po’ turbato a quell’aspetto; ma rassicuratosi, baciò la