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nimico minacciava i suoi stati, e n’era già sì vicino. Levò numerose truppe, e venne ad accampare in una valle vicina a Kabul, chiamata la valle dei Fiori; indi scrisse a Kefid la lettera seguente: «Voi avete operato, o fratello, in modo ributtante ed indegno d’un gran re, venendo a devastare i miei stati ed uccidere i sudditi miei. Tornate ne’ vostri domini, od attendetevi una sconfitta sicura.» Suggellò la lettera e la mandò per mezzo d’un parlamentario, il quale, direttosi verso un gran padiglione di raso rosso che scorgeasi da lungi, e ch’ei con ragione prese per la tenda reale, trovò il principe circondato da’ generali, dai ministri e da tutta la corte. Concisa fu la risposta che il parlamentario ne ricevette.«Sappiate, re «Tigmos,» scrivea Kefìd,«che ho risoluto di smantellare le vostre città, scannare i vostri sudditi e regnare in questi stati. Tal è la mia volontà, e così esigono le leggi dell’onore, o piuttosto della vendetta.» Tale risposta mise Tigmos in un’ira terribile, ed ordinò al visir Ainsar di adunare sull’istante la cavalleria e d’attaccare il nemico all’improvviso. Dal canto suo, Kefid aveva dato il medesimo ordine al suo visir Gatrefan; talchè i due corpi, comandati dai due visiri, vennero alle mani nell’oscurità della notte. Confusa riuscì la mischia, spaventevole il macello; infine l’aurora sorse ad illuminare la disfatta di Gatrefan.

«Ainsar rientrò trionfante nel campo di Tigmos, ai concenti de’ cimbali e delle trombe. Furibondo Kefid del funesto esito di quel primo scontro, dispose egli medesimo l’esercito in battaglia, ed altrettanto fece Tigmos. Da ciascun lato l’esercito era composto di dieci battaglioni, ed ogni battaglione di diecimila uomini. Tremava la terra sotto i passi de’ corsieri, l’aria rimbombava de’ loro nitriti, del suono de’ cimbali e delle trombe, dello scricchiolar dell’armi e delle grida guerriere dei soldati. Sanguinoso fu il combattimento la vitto-