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partiti, ora coll’arco, ora colla sciabola; ma soccombettero alla fine sotto il numero de’ nimici. Giansciah salvossi colla fuga, pervenne sulla sponda d’un fiume, ed attraversatolo a nuoto, scampò così alle formiche ed alle scimie, che non potevano nuotare. Giunto all’altra riva, pianse la perdita de’ tre fedeli; poi, fatto seccare il mantello, si addormentò. Allo svegliarsi, proseguì la sua strada, e camminò per più giorni e più notti, non vivendo che di piante e di radici, che trovava ne’ luoghi pei quali passava.

«Giunse in fine alla montagna infiammata, della quale parlava lo scritto di Salomone, come anche al fiume ed alla città de’ Giudei. Aveva quel fiume una particolarità notabilissima: scorreva tutta la settimana, ed il sabato l’alveo rimaneva a secco. Egli attese dunque il sabato seguente per traversarlo a piedi asciutti, e giungere alla riva opposta dove trovavasi la città. Ivi non vide alcuno per le strade: laonde, avvicinatosi ad una casa, ne aprì la porta, entrò, e vide gran numero di persone sedute in cerchio; ma nessuno diceva sillaba. — Io mi chiamo Giansciah,» lor disse il principe, «e sono straniero. Insegnatemi, vi prego, come si debba regolarsi nella vostra città.» Gli risposero: — Mangia, bevi, ma non parlare!» Giansciah mangiò, bevve, e dormì sino alla mattina appresso. Il padrone della casa venne a salutarlo, e gli chiese laconissicamente; — Chi? donde? dove1?» Le quali interrogazioni, già sì spesso fattegli durante il suo viaggio, gli fecero venire le lagrime agli occhi. Rispose nondimeno succintamente, facendo conoscere soltanto il proprio nome, il nome dell’isola d’onde veniva, e quello della città nativa. — Non abbiamo mai udito parlare di quest’ulti-

  1. Chi sei? d’onde vieni? dove vai?