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«Subentrò un altro celebre giuocatore che sapeva a fondo il giuoco di nerd. — Cosa mi date se guadagno?» gli chiese Teveddud. — Dieci superbi abiti di Costantinopoli,» rispose quello, «e mille zecchini; ma se io avessi il vantaggio, altro non vi domando se non di dichiarare in iscritto che foste vinta.» Teveddud guadagnò la partita, e ricevette il premio convenuto.

«Il califfo, sempre più incantato della bella schiava, le chiese allora se sapesse suonare qualche stromento, ed avutone risposta affermativa, le si portò, in un astuccio di raso rosso, chiuso con fermaglio d’oro, un liuto. Teveddud aprì l’astuccio, e ne trasse il liuto sul quale stavano incisi questi versi:


««Un ramo flessibile è divenuto un liuto armonioso.

««Un tempo risuonava de’ melodiosi concenti dei cantori delle selve; oggi rende accordi ancora più dolci.»»


«Teveddud, appoggiatosi il liuto al seno, suonò sopra dodici tuoni in maniera sì seducente, che tutti gli astanti ne rimasero commossi.

«Il califfo, era rapito al terzo cielo. — Dio vi sia propizio, bella Teveddud!» sclamò egli. E tosto, fatti portare centomila zecchini, li diede al padrone della schiava. Avendo poscia domandato alla bella Teveddud cosa preferisse o di starsene col suo antico signore, o d’entrare nel serraglio, si dichiarò ingenuamente pel primo. Il monarca, approvando la risoluzione, fece un presente di diecimila zecchini alla bella schiava, ed ammise il padrone di lei nel numero de’ suoi più intimi favoriti, contrassegni di generosità e liberalità, onde non si sono più veduti esempi, dopo l’estinzione de’ califfi Abbassidi.»