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il consiglio, e ripetè al califfo le di lei parole.— Come ti chiami?» chiese il principe alla schiava. — Teveddud,» rispose quella. — Fammi vedere ciò che sai;» riprese Aaron. — Sire,» disse la schiava, «ho studiato l’astronomia, la poesia, la grammatica, il diritto civile ed il canonico. Conosco pure la musica, l’aritmetica, la geometria e l’arte di decifrare le iscrizioni antiche. Leggo in sette maniere diverse il Corano; so appuntino quanti capitoli, versetti, consonanti e vocali racchiude; so quali capitoli ordinino l’abolizione di certe cose, e tutte le cose che vi sono vietate; so quali capitoli furono scritti alla Mecca, e quali a Medina. Conosco le tradizioni ossia le leggi del Profeta, e so, secondo la loro origine, distinguerne i diversi gradi d’autenticità. Nè sono ignara della logica, nè di tutte l’altre scienze filosofiche. Canto, ballo, suono il liuto ed il flauto. Grazie alla mia felice memoria, conosco tutti i migliori nostri poemi, e posseggo anch’io il talento dei versi. —

«Rimase il califfo sbalordito di tanta fecondità. — Farò venire,» disse ad Abul Hassan, «i dottori e maestri in tutte le scienze per mettere la tua schiava alla prova, ed assicurarmi sè realmente sia istruita quanto pretende. In tal caso vi darò i diecimila zecchini; diversamente, potrete tenervela e ricondurla a casa. —

«Il califfo scrisse immediatamente al governatore di Basra di mandargli Ibrahim figlio di Nazim, il maggior dotto del suo tempo, profondo in tutte le conoscenze umane, e fece in pari tempo chiamare i lettori del Corano, i grammatici, i poeti, i geometri, i filosofi, i giureconsulti, i dottori di filosofia e teologia, i quali, tutti insieme, erano ancora lungi dal saperne quanto Ibrahim figlio di Nazim. Recatisi tutti al palazzo del califfo, senza sapere per qual motivo li avesse convocati, il principe, andato loro incontro, comandò