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mise alla luce un figlio, dal viso bello come la luna. Allora il padre, raddoppiando le elemosine, fece nutrire e vestire gli orfanelli per soddisfare ai voti fatti, ed il settimo giorno, il bambino ricevette il nome di Abul Hassan.

«Giunto all’età opportuna, gli si diede un maestro per insegnargli a leggere e scrivere. Studiò il Corano, la poesia e l’aritmetica, e si fece distinguere soprattutto nell’arte del trar d’arco. Il suo sapere, quelle guance di rose e la sua fronte, la cui candidezza superava l’avorio, lo resero in breve una delle piccole maraviglie del suo tempo, sicchè gli si poteano applicare queste parole d’un poeta:

««Vedi là quel tenero bottone che cerca di schiudersi?

««Passata è la primavera, ma la rosa fiorisce an«cora sulle sue gote.»»

«Egli formò la letizia del padre sinchè questi visse; ma quando fu prossimo al suo fine, lo fece chiamare al letto di morte, all’uopo di dargli per l’ultima volta i paterni consigli. — Figlio,» gli disse, «io sono, al punto di comparire dinanzi a Dio: tutto ciò ch’io posseggo, in terre, schiavi e verghe d’oro, ti appartiene; godine nel timor di Dio. —

«Abul Hassan fe’ celebrar le esequie del padre, ma i suoi compagni di piacere vennero a strapparlo al suo dolore. — Chi riproduce sè medesimo,» gli dicevano, «come vostro padre fece in voi, non muore altrimenti. Cercate dunque di dissipare la vostra tristezza nel commercio delle donne.» Il giovane, dimenticando i consigli paterni, lanciossi in mezzo al vortice de’ piaceri, e consumò in poco tempo le immense ricchezze ricevute in retaggio. Infine più non gli rimase, di tutti i beni paterni, se non una bellissima schiava. Era questa senza rivali per beltà ed intelligenza. Di mezzana statura, le due poma del