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««Abbi pietà di me! dèh! rendimi l’amor tuo! muore il tuo amante dal desio di spirare fra le tue braccia.»»

«Mi recai con questa lettera al palazzo di Badur, ove la vidi più bella che mai, piena di vita e di salute. Il corteo funebre da me veduto alla porta, era per la schiava che aveva eccitato la gelosia di Giabir. Badur sorrise di gioia vedendomi comparire con una lettera, e tutta lieta che il suo diletto tornasse a gettarsi a’ suoi piedi, scrisse all’istante una risposta nella quale gli rimproverava gl’ingiusti sospetti. Se non che io, trovando quei rimproveri troppo violenti, negai di portare la lettera, e tanto feci ch’ella la lacerò, e ne scrisse un’altra. Era questa men aspra della precedente, ma la trovai ancor troppo forte per la situazione del povero mio amico; sicchè pregai Badur di sopprimere anche questa, ed ella ne scrisse una terza nella quale perdonava all’amante e l’assicurava della di lei tenerezza. Suggellatala, me la consegnò, e quando fui per uscire, mi favellò così: — Ditegli a viva voce che stasera spero riconciliarmi con lui. —

«Appena il giovane ebbe letta la risposta, che mandato un grido, cadde al suolo privo di sensi. — Ibn-Mansur,» mi disse tornando in sè, «ha scritto essa questa lettera di propria mano? — Io non sapeva,» risposi, «ch’ella scrivesse talvolta col piede.» E non avea finito tali parole, che Sittal-Badur giunse in persona a visitare l’infermo. Abbracciaronsi, e le loro bocche rimasero a lungo unite prima di poter formare un solo accento. Uscendo da quell’estasi, Giabir disse qualche cosa all’orecchio d’uno schiavo, e subito dopo vidi comparire il cadì con due testimoni, alla cui presenza fu stipulato il contratto di matrimonio, e Badur divise tra essi una borsa di mille zecchini ricevuta da suo padre. Io voleva andarmene onde permettere ai nuovi sposi d’abbandonarsi a tutta la