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««O palagio! e voi, reliquie del suo splendore, che ne piangete la caduta!

««Dov’è colui che qui una volta ci riceveva con sì nobile e generosa amicizia?

««Passa, nè ti fermare, viandante: lungi sono gli amici.

««O Dio! non ci lascia dimenticare benefizi, dei quali esistono ancor le vestigia!»»


«Deplorava così la sorte degli abitanti di quel palazzo, un tempo sì magnifico, quando vidi comparire uno schiavo negro. — Piango,» gli dissi, «il mio amico Giabir; che cos’è di lui? — Ei vive ancora, rispose lo schiavo; «ma la sua esistenza non è che una lunga serie di tormenti, tanto violenta è la sua passione per Sillal-Badur!» Chiesi di vederlo, e dopo alcune difficoltà, il negro m’introdusse. Trovai il povero giovane disteso sul letto come una statua, e voltagli la parola, non n’ebbi risposta. — Signore,» mi disse lo schiavo, «se sapete compor versi, fatene uso, poichè il povero mio padrone non risponde se non quando gli si parla in versi.» Improvvisai allora questi:

«-«Trovasti tu il riposo, e rinunziasti all’amor tuo per Sittal Badur? oppure vuoi persistere nella tua passione?

««Se pensi morire nelle lagrime, sappi che hai tocco il colmo del delirio!»»

«Finito ch’io ebbi quei versi, il giovane domandò inchiostro e carta, e scrisse in risposta:


«-«Perdona, perdona, mia diletta! L’amor mio per te mi avea lasciato appena una scintilla di ragione.

««La mia passione mi aveva tratto nel più colpevole errore, e precipitato nell’abisso della disperazione.

««Quando feci naufragio in tanto mare, a Dio volsi per implorare la mia salvezza.