Pagina:Le mille ed una notti, 1852, VII-VIII.djvu/323


305


NOTTE DCII

— «La domane mattina, al momento di svegliarmi, uno schiavo negro mi portò una borsa di cinquecento zecchini, e disse che il suo padrone avevalo incaricato di ricevere i miei saluti. Benchè la mia ambasciata fosse riuscita vana, io non era però men costretto a tornare dalla dama che mi aveva mandato. La trovai che m’attendeva alla porta, e prima che avessi aperta bocca, mi fece il racconto di quanto erami accaduto la sera precedente presso il suo diletto. Bisogna dire che si trovassero in quella casa spie che l’avessero informata esattamente. — Com’è possibile,» dissi che sappiate sì bene ogni cosa? Direbbesi che mi accompagnaste. — Non sapete,» rispose, «che un poeta disse aver il cuore degli amanti occhi che veggono ciò che gli altri non possono?» Alzando poi le pupille al cielo: «Mio Dio,» sclamò, «tu che facesti nascere nel mio cuore l’amore, per Giabir, annientalo, te ne scongiuro! «Poscia mi diede cento zecchini, e preso congedo da lei, andai a far visita al vicerè, e feci ritorno a Bagdad.

«Tornato l’anno dopo a Basra, fui curioso di sapere la sorte de’ due amanti, e mi recai prima alla casa di Badur. Vidi alla porta un feretro e tutti i preparativi d’un funerale. — Ella dunque non è più!» dissi tra me; «la disperazione ne ha spezzato il cuore; ella non è più!» Di là recatomi al palazzo del giovane, lo trovai deserto e quasi cadente in ruina. Non eravi alla porta persona viva. — Bisogna dunque che anch’egli sia morto di dolore,» soggiunsi. In fine, scrissi sulla porta questi versi: