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deh! dimmi cosa può produrre i tuoi sospetti? Sei troppo ragionevole per non sapere che non si debbono prendere i discorsi alla lettera, poichè una parola sola è suscettibile di falsa interpretazione. Non si è, anche nelle sacre carte, presa una parola per un’altra? Non fu il virtuoso Giuseppe calunniato al padre? Non presta orecchio ai calunniatori, e torna a me. Qual giorno di festa sarà mai quello della nostra riconciliazione!»»
«Io mi recai con questa lettera alla dimora di Giabir, emiro de’ Beni-Sceiban e figlio di Aamir: era a caccia; l’attesi sino al ritorno. Quando lo vidi scendere di cavallo, stupii anch’io della beltà del giovane. Egli mi fece entrare e sedere, alla sua tavola, coperta di stoviglie del Korassan e d’una moltitudine di vivande d’ogni specie. Avendo per caso volto l’occhio sur una piastra rossa che stava rimpetto alla mensa, vi lessi l’iscrizione seguente:
««Le figlie del destino piangono, nè cessano di gemere, benchè questa tavola sia carica de’ più squisiti cibi. O anima mia, fa coraggio! non sarai sempre in preda al dolore, non sarai sempre immersa nella disperazione; conoscerai di nuovo il piacere, e voterai ancora il calice della felicità!»»
«— Io non gusterò alcuna delle vostre vivande,», dissi all’emiro, «se non mi avrete prima accordata la domanda che sono per farvi. — Vediamo cosa bramate,» rispose quello. — Che vi degniate,» ripresi, «ricevere questa lettera e farvi la risposta.» La lesse e la gettò per terra dicendo: — Domandatemi quanto vorrete, Ibn-Mansur, fuorchè di rispondere a colei che scrisse questo foglio.» Non esitai a dirgli che mi facea perdere quattrocento zecchini, negandomi una risposta. — Ebbene,» riprese, «se è questo solo, rimanete pochi altri giorni con me, e quando partirete, vi darò cinquecento zecchini. —