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«— Signora,» ripresi, «eccomi a soddisfare alla vostra curiosità. Io sono Ibn-al-Mansur, ospite del Commendatore de’ credenti Aaron-al-Raschild.» Appena sentì il mio nome, ella si alzò e disse: — Siate il ben venuto, sceik Ibn-al-Mansur. — Signora,» soggiunsi, «avete tante attrattive e tanto merito, ch’è impossibile possiate amare alcuno che al vostro amore non corrisponda. — V’ingannate,» rispos’ella; «il mio diletto è Giabir, figliuolo di Aamir, emiro della tribù di Beni-Sceiban. È il più bel giovane di Basra. — Ha egli vissuto presso di voi? — Sì, noi ci amavamo, ed eravamo felici; nessun contratto, le nostre promesse sole, soli i nostri cuori ci univano. — E perchè vi divideste? — Udite: questa schiava colla quale fui allevata sin dalla più tenera infànzia, stava intrecciandomi un giorno i capelli, e lieta del modo con cui eravi riuscita, m’abbracciò per la gioia di vedermi una sì bella chioma. In tale istante, entrò il mio diletto, il quale, colto da improvvisa gelosia, mi volse queste parole: — M’è impossibile dividere con altri il mio amore per quella che amo. L’amore non rende felici se non quando è esclusivo.» A tai detti, si allontanò, nè l’ho più riveduto, e nemmeno udito a parlarne. — In che cosa, o signora,» le chiesi, «potrei esservi utile in questo affare? — Portandogli una lettera da parte mia. Se tornate senza risposta, vi darò cento zecchini; ma se me ne recherete una, potete calcolare su cinquecento. —

«E chiesto inchiostro e carta, scrisse un biglietto in versi all’incirca di questo tenore:

««Mio diletto, o tu che adoro! quanto tempo staremo ancora disgiunti? Il dolore sbandisce dalle mie palpebre il sonno e quando mi apparisci in sogno, non riconosco più i lineamenti da me una volta veduti. Te ne scongiuro pel nostro amore,