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colla varietà e velocità delle acque del ruscello, il cui grato mormorio mi distraeva senza occuparmi. Il mio cuore pareva talora toccare all’apice della felicità; tal altra se ne trovava lontano, prevedendo sempre con tema ostacoli insuperabili: mille diversi pensieri m’agitavano di continuo mentre mi rifocillava. Finalmente calò la notte, e vidi comparire le fiaccole che tutto dovevano rischiarare.

«Io mi sentii fuor di me, vedendo la principessa, preceduta dalla sua leggiadra corte, e corsi a gettarmele ai piedi. Ella mi attestò maggior bontà e tenerezza del dì prima, e volle assolutamente farmi sedere ai suoi fianchi sul trono. S’imbandirono le mense, e presentate le coppe, la regina bevve alla mia salute. Quel nuovo favore m’infiammò di più, ed il mio amore non potendo più contenersi, la scongiurai a darmi la mano. Allora l’amabile donzella, volgendo su di me uno sguardo pieno di fuoco, accompagnato dal più dolce sorriso, dimostrommi, con tal eloquente silenzio, che non mi vedeva con indifferenza, e nel tempo medesimo porsemi la guancia. V’impressi un bacio: essa mi parve sparsa di gigli e di rose, e non potendo reprimere i miei trasporti, le baciai non solo le guance, ma anche le labbra più vermiglie del corallo.

«Tanta felicità mi tolse l’uso della ragione. — Oh regina di bellezza,» sclamai, «come siete cortese con uno straniero indegno della vostra bontà! Chi siete, bella principessa? siete uno spirito del cielo? siete un sole o una stella brillante del firmamento? Deh! soddisfate la mia ben fondata curiosità. —

«La principessa allora, alzando la testa con tutta grazia, rispose: Non abusate della mia bontà, vi prego.

«— No, madama: il risentirla e meritarla è forse